2013 – Famiglia e sue reciprocità nella Chiesa e con la Società.

Convegno pastorale diocesano
Sassari, 12-13 Settembre 2013

“Evangelizzare nella famiglia”

“Siamo dunque particolarmente riconoscenti alle tante coppie di sposi e genitori che, in un simile contesto, ogni giorno testimoniano il Vangelo del matrimonio e della famiglia, e con la loro vita annunciano che la famiglia e il matrimonio sono un Vangelo, cioè una vita piena e degna di essere vissuta”.

(CEI, Orientamenti pastorali sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia, 2).

  1. Aggiungerei che se non vi fosse il “contesto” di cui ci parla il documento nelle pagine introduttive non avrebbe senso nemmeno l’annuncio evangelico del matrimonio e della famiglia cristiani… quindi siamo sollecitati a non vedere le condizioni contingenti come degli ostacoli e basta, trasformandoci in sterili laudatores temporis acti, piuttosto delle nuove opportunità, dei nuovi areopaghi nei quali far risuonare la Parola di salvezza del Signore custodita, interpretata, vissuta e trasmessa dalla Sua Chiesa.

Ecco perché oggi è molto più importante mostrare simpatia umana, accoglienza e testimonianza cristiane, veri strumenti critici (che mettono seriamente in crisi stili di vita e comportamenti dati per “pacifici” ma non in sintonia con il Vangelo) piuttosto che suscitare riprovazione ed un certa malfatta apologia che non induce ad una riflessione bensì ad una difesa e teorizzazione dell’errore… ma sono convinto che di questa necessaria ed alternativa prospettiva ne siate consapevoli anche voi!

  • Ma cos’è oggi la famiglia? Chi è costei? … direbbe don Abbondio!

Non ripeterò cose arcinote… e non seguirò lo schema solito dei documenti ecclesiali nel quale la questione discussa è presentata sotto i suoi aspetti positivi e sotto quelli problematici… perché li conosciamo e ci sono già stati ricordati da chi è intervenuto prima di me. Mi limito a riportare la definizione che ne dà il Direttorio di Pastorale familiare al n° 15: “Secondo il disegno di Dio, il matrimonio trova la sua pienezza nella famiglia, di cui è origine e fondamento. Da questo intimo e costitutivo legame con il matrimonio e con l’amore che lo definisce, ogni famiglia deriva, perciò, la sua identità e la sua missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, attraverso la formazione di una autentica comunità di persone, il servizio alla vita, la partecipazione allo sviluppo della società.

La famiglia cristiana, comunione di persone, segno e immagine della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo, oltre ai compiti ora ricordati, ha anche quello di partecipare alla vita e alla missione della Chiesa.

Quindi la famiglia è un’autentica comunità di persone. È una communio, cioè un insieme di persone che condividono la responsabilità di un compito (cum munus) secondo una diversificata articolazione di ruoli… altrimenti se tutti possono e devono fare tutto in una comunità… non avrebbe molto senso stare insieme! La comunione nella famiglia cristiana ovviamente non è semplicemente una realtà umana, o semplicemente necessitata dalla convenienza pur legittima di una convivenza ma è segno ed immagine della Trinità, e segno ecclesiale incipiente… chiesa domestica la definisce il Concilio, LG11 (velut ecclesia domestica – “al modo di una Chiesa domestica”).

È a servizio della vita. L’opera procreatrice della coppia è a servizio della trasmissione della vita, della sua accoglienza, della sua custodia, della sua difesa, della sua offerta per il bene della Chiesa e della società intera. Nell’atto generativo, atto vitale per eccellenza – ci ricorda San Tommaso – è insito in maniera implicita e connaturale anche un altro atto altrettanto importante… generatore di una vita sempre più umanizzata… che è l’educazione dei figli. Ecco perché come il generare è un atto d’amore, anche l’educare è un vero e proprio atto d’amore, e l’educare cristianamente è un duplice atto d’amore! Allora comprendiamo il grande impegno della Chiesa profuso per la catechesi… che oggi include sempre di più anche il primo annuncio del Vangelo! Ecco perché l’educazione è realtà vitale, ecco perché rientra nella costituzione identitaria dell’uomo, ecco perché la famiglia è l’unica agenzia educativa naturale ed immediata, senza alcuna necessità di delega o di surroga… a differenza di altre realtà educative come la scuola o la società in sé… ivi compresa la stessa Chiesa, che pure ha la caratteristica della soprannaturalità. Ecco perché mai ci si deve sostituire alla famiglia, eccetto evidentemente in casi particolarissimi e necessari dove un omesso intervento sarebbe colpevole, ed ecco perché i figli sono affidati a famiglie e non a pseudo tali. Lo stesso istituto giuridico dell’adozione nasce per dare una famiglia ai figli e non figli ad una famiglia.

Inoltre, anche quando mancasse la fecondità e la capacità generativa della coppia, quella famiglia non smette di essere  a servizio della vita, servizio che può declinarsi in una svariata molteplicità di forme d’amore: l’affido, l’adozione appunto (secondo la bella immagine dell’ospitalità che ricorre diverse volte nei documenti magisteriali), il servizio educativo allargato, la testimonianza di un amore oblativo e dedicato al coniuge che possa essere risposta vitale ai tanti matrimoni in crisi o a tante coppie in formazione verso il matrimonio… solo per citare alcuni esempi e vie di santificazione.

Partecipa allo sviluppo della società. La famiglia è comunità essenziale per la stabilità della società, per il suo sviluppo ordinato (certo non è l’unico istituto sociale di stabilità come c’insegna l’antropologia culturale, pensiamo al clan o alla tribù di società altre…). Essa è alveo fondamentale per la socializzazione primaria dell’uomo entro la quale rientra un sano sviluppo affettivo, un’adeguata capacità relazionale, una necessaria trasmissione dei valori etici, di comportamenti, di criteri di valutazione e discernimento… insomma di attitudine, capacità e strumenti per l’umanizzazione dell’uomo e conseguentemente la realizzazione di una società più umana. Una società che non è retta sulla fragilità di relazioni opzionali e perennemente reversibili ma sulla stabilità di comunità di vita, di amore, di soccorso, di servizio, di perdono, ispirata da Dio, custodita dalla e nella fede, garantita da un foedus che è così fondante da non potersi esimere da un riconoscimento pubblico, ufficiale e giuridico che ne sancisca e perpetui la sua essenza.

  • Partecipa alla vita e alla missione della Chiesa.

“La vita cristiana assunta nella sua pienezza comporta lo svolgimento di un’esplicita missione ecclesiale. In forza del sacramento, gli sposi sono consacrati per essere ministri di santificazione nella famiglia e di edificazione della Chiesa. I coniugi compiono il loro ministero e impegnano i loro carismi, oltre che nella testimonianza di una vita condotta nello Spirito, nell’educazione cristiana dei figli, e in modo privilegiato nel camminare con loro nell’itinerario dell’iniziazione cristiana; nella preparazione specifica dei fidanzati al sacramento del matrimonio; nella catechesi familiare e parrocchiale; nella promozione delle vocazioni, specialmente di quelle di speciale consacrazione; nell’evangelizzazione di altri sposi e famiglie, e nella programmazione pastorale della Chiesa locale (cf. AA 11). Non va dimenticato che è fondamentale la responsabilità della famiglia per quanto riguarda il nascere e lo svilupparsi della vocazione dei figli verso la missione sacerdotale, la vita religiosa e l’apostolato degli istituti secolari. Una forma eminente della missione ecclesiale dei coniugi è l’esercizio cristiano dell’ospitalità” (cf. Rm 12,13).

(CEI, Evangelizzazione e matrimonio, 104-105).

Questo documento del 1975, ancora molto attuale, facendo risuonare le parole del Concilio sulla famiglia contenute in LG11(già ricordato), in GS 48 e ss., ed in AA 11, ci ricorda e ci mostra come la famiglia partecipa alla vita e alla missione della Chiesa.

Innanzitutto per mezzo della testimonianza: ecco perché la famiglia cristiana è già di per sé un Vangelo vivente, essa racchiude ed esprime l’amore di Dio per l’umanità, l’amore di Cristo per la Sua Chiesa, attraverso l’unità di un vincolo di reciproca appartenenza, la fedeltà al patto d’amore, l’indissolubilità dell’essere una sola “carne”, una sola cosa… per cui ogni attentato all’indissolubilità non è semplicemente il tentativo dello scioglimento di un vincolo ma il tentativo di una mutilazione di una realtà, la fecondità della relazione… e tutto questo non “nonostante il matrimonio” ma in virtù di un matrimonio celebrato nel Signore! Tutto questo testimoniano i coniugi cristiani, mostrano le famiglie cristiane per il semplice fatto di essere, di vivere, di essere inserite nel tessuto sociale come fermento evangelico e come modello d’ispirazione.

Inoltre la famiglia partecipa alla vita e alla missione della Chiesa per mezzo dell’educazione cristiana dei figli, specie nel farsi grembo generatore alla fede attraverso il primo annuncio del Vangelo e compagni di viaggio nel loro cammino d’iniziazione.

E cosa comporta un autentico cammino d’iniziazione cristiana? Quali sono gli obiettivi che persegue?

Ne individuo almeno quattro:

  1. Innanzitutto l’incontro con Gesù, nella Sua dimensione storica e salvifica, così come emerge dal Vangelo e dalla Tradizione vivente della Chiesa. Incontrarlo, ascoltarlo, amarlo e seguirlo volgendo lo “sguardo esistenziale su di Lui” (vero processo di “conversione”) è il fondamento di ogni vita cristiana. S’impara da piccoli… Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite…
  • Promuovere una bella vita liturgica e sacramentale nella Chiesa, nella sua determinazione più piccola che è la singola comunità cristiana, la Parrocchia, iniziando a comprendere la dimensione cultuale e misterica della vita cristiana attraverso i segni liturgici, e cogliendo da subito che come esiste una dimensione personale, e poi domestica-familiare della fede, ne esiste una pubblica e comunitaria di cui non si può fare a meno e che completa necessariamente le precedenti, ma che non avrebbe risonanza piena se non vi fossero le precedenti!
  • Fare un “tirocinio” adeguato all’età, alla maturità umana e alla capacità spirituale di vera vita cristiana, aiutando i bambini ed i ragazzi (ma questo vale anche per i giovani e gli adulti… anzi a maggior ragione) ad avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (cfr. Fil 2, 6-11).
  • Infine iniziare all’apostolato ecclesiale, non può esistere una teoria se non è inverata dalla prassi e una prassi non può nascere da una teoria compiuta perfettamente a tavolino. Così ci insegnava il card. Ratzinger nelle famose conferenze sulla crisi della catechesi tenute a Lione e Parigi nel 1980. Ovviamente anche l’apostolato ecclesiale sarà adeguato alle capacità degli iniziandi… ma non per questo è sminuito di fronte al mandato missionario che Gesù Signore affida alla Sua Chiesa.

Certo, tutto vero, potreste dirmi… ma come realizzare ciò? Oggi, tempo in cui sembra sia diventato più difficile annunciare il Vangelo e suscitare fecondi cammini di i.c.

  • Non risponderò con idee già note, prassi consolidate o indicazioni che i Vescovi già ci hanno fornito… non perché non siano valide, lungi da me questo pensiero (anzi sono sempre indicazioni molto oneste perché si rivelano da subito come espressione non di ricette applicabili tout court alla realtà ma come cammini in fase di sperimentazione)… ma perché sono già conosciute.

Ricordo brevemente che conosciamo la necessità di ispirare la catechesi d’i.c. al modello catecumenale, conosciamo la necessità di elaborare alleanze pastorali ed educative, conosciamo la necessità di essere vicini alle famiglie, specie alla più giovani inventandoci 1000 e una occasione per coinvolgerle nei faticosi e, a volte, farraginosi, passaggi dei nostri cammini iniziatici diocesani e parrocchiali, conosciamo l’annosa questione della scelta della sequenza sacramentale… molto conosciamo e tutto – s’intende – rientra nella comunione con le indicazioni della Chiesa e della Chiesa che è in Italia. A meno che non s’indulga a schemi catechistici improponibili o per vetustà o per irrealtà.

E non dirò nemmeno che quanto già si fa è inutile o obsoleto (anche se perfettibile, come una riflessione si dovrà aprire con coraggio sul PC italiano che risale ormai al 1970)… perché non è vero! La sola diffusione capillare della nostra catechesi è di per sé un valore… spesso è fatta molto bene, ed è un valore aggiunto, spesso è inserita in un percorso di educazione cristiana ancora più completo e fecondo… e tutto ciò è un ulteriore valore aggiunto… alle volte è compiuta in collaborazione con le famiglie… ed esperienze simili divengono esemplari e portatrici di Grazia in una parrocchia ed in una Diocesi.

Vorrei, invece, proporvi alcune suggestioni che – a dire il vero – non ho ancora maturato in modo sufficiente in un’articolata valutazione che possa tener conto di tutta la loro complessità, ma sulle quali sto riflettendo già da tempo e che, credo, possano essere delle idee condivisibili.

Non sono necessariamente delle novità (specie per le persone più competenti del settore) e ovviamente non sono solo espressione d’intuizione personale bensì nascono come frutto di studio e di prassi, di confronto con esperti, di fallimento (riconciliamoci anche con il fallimento pastorale!) e alle volte di successo.

Tutto sia fecondato dalla Grazia… altrimenti tutto è vano! 

  1.   Iniziamo con l’accoglienza della famiglia neo genitoriale. Nasce un bimbo/bimba e per lui/lei (sperando che almeno in Italia si conservi la distinzione di genere e non venga demandato anche questo all’arbitrio personale) i genitori, anche quelli con una fede molto blanda, con una labile appartenenza ecclesiale, e con una prassi sacramentale pressoché inesistente… chiedono il Battesimo. E con il Battesimo inizia il processo dell’i.c. Questo è un momento fecondo, è un periodo favorevole… la nascita del figlio dispone naturalmente i genitori ad essere favorevoli verso la novità, c’è una nuova sensibilità per le esigenze del figlio, c’è la consapevolezza che babbo e mamma sono chiamati a ricominciare un percorso nuovo, c’è la disposizione del genitore ad imparare ad essere tale… così accade per l’essere genitore cristiano. Questo momento delicato dev’essere compreso, accolto ed accompagnato verso una riscoperta della fede più responsabile da parte dei genitori nella consapevolezza che non posso trasmettere ciò che non ho ricevuto! Non a caso la Chiesa e i recenti documenti ecclesiali sollecitano un accompagnamento educativo e una cura pastorale delle famiglie che hanno bambini dai 0 ai 6 anni. Lo stesso catechismo della CEI “Lasciate che i bambini vengano a me” si pone come strumento utile per favorire un percorso in tal senso. Insomma, potremmo dire: “prendiamoli da piccoli, e prendiamoli quando sono entusiasti!”.
  • La riscoperta di una “liturgia domestica”. Ciò che il popolo della prima alleanza custodisce molto bene noi l’abbiamo disperso, facendo della nostra catechesi ed iniziazione cristiana solo un fiume di parole e di istruzioni, privandoci della capacità evocativa dei segni, e della necessaria, indispensabile, preghiera ed istruzione cristiana dentro le mura domestiche, lungo lo scandire dell’anno liturgico, attraverso occasioni, tradizioni e costumi culturali scaturiti o trasformati dal Cristianesimo, nella quotidianità di una vita familiare, certo non più ritmata secondo i tempi della cultura agropastorale, ma ancora abbastanza preservata. Pensiamo alla collocazione dei segni della fede negli ambienti della vita familiare: il talamo nuziale, il soggiorno, le camere dei figli; pensiamo alla benedizione quotidiana della mensa per ricondurre tutto alla Provvidenza di Dio; pensiamo alla preghiera comune con i figli almeno alla conclusione della giornata; pensiamo all’allestimento del presepio in occasione del Natale; pensiamo ai segni pasquali della nostra tradizione sarda che sono occasioni importantissime di trasmissione della fede (il pane bollito con l’uovo incastonato), l’agnello, i dolci; pensiamo alla benedizione pasquale che può essere impartita dal capofamiglia secondo le prescrizioni rituali; pensiamo all’uso della Bibbia, con alcuni brani biblici ed evangelici da poter leggere di tanto in tanto… insomma una ricchezza di cui mai teniamo sufficiente conto e che costituisce il sostrato di una fede che la partecipazione sacramentale e la frequentazione ecclesiale compiono come le cime esprimono l’altezza di una catena montuosa, senza la quale però non si sosterrebbero.

Perché non pensare ad un agile sussidio diocesano da distribuire a tutte le famiglie come regalo del Vescovo?

  • La trasmissione della fede e l’iniziazione cristiana dev’essere – certamente – opera dell’impegno di entrambi i genitori e della famiglia intera… ma un ruolo particolarmente importante lo deve ricoprire il padre. E qui, in Sardegna (non dappertutto ma sicuramente in modo diffuso), tocchiamo un tasto dolente… ed una realtà verso la quale da subito e per troppo tempo ci diamo per sconfitti. In primis per il ruolo defilato del padre nel compito educativo in genere (grazie a Dio, oggi non è più così), in secundis per quello specificamente cristiano ed inoltre per il ruolo attuale dei genitori che spesso latitano, sostituiti da nonni virtuosi ma che di fatto colmano l’auto dispensa dal ministero di educatori di un’intera generazione di padri e madri. Dobbiamo insistere nel coinvolgimento educativo, e alla fede in modo particolare, dei padri. Non finirò mai di ringraziare le mamme e le nonne per quanto fanno in genere ed in ordine all’educazione cristiana in particolare, ma una fede trasmessa solo per “linea femminile” corre il rischio di toccare solo la dimensione dell’emotività, ma di non coinvolgere la dimensione più riflessiva del preadolescente e dell’adolescente. Con  la crescita, inoltre i ragazzi e le ragazze, avranno il sospetto che la fede è una questione che riguarda i bambini e le donne un po’ attempate come le loro mamme e le loro nonne. Mancano gli esempi maschili, mancano i modelli di riferimento paterni che servono, come per tante altre dimensioni dell’esistenza umana, alla conferma di un’identità, in questo caso quella cristiana. Se volgiamo il nostro sguardo verso le altre fedi come l’Ebraismo e l’Islam notiamo subito il ruolo fondamentale dei padri nella trasmissione della fede e nella iniziazione religiosa dei figli. Ho l’impressione che l’iniziazione religiosa funzioni meglio da loro piuttosto che da noi, certo per un’infinita serie di motivi culturali… ma forse dipende anche dal ruolo particolare, autorevole, presente, riconosciuto al padre, anzi rivendicato dal padre. Anselm Grün, monaco benedettino, forse l’autore di divulgazione spirituale più letto oggi in Germania, parla della necessità di recuperare nella formazione cristiana l’archetipo maschile, e suggerisce il coltivare una spiritualità che non privilegi solo le dimensioni della misericordia, della comprensione, della tenerezza (tipiche sfumature della bella sensibilità femminile e materna) ma che si recuperi anche la dimensione del coraggio, della forza, della necessità di trasmettere ciò che si è come accade all’uomo quando genera. Pensiamo, giusto per fare un esempio banale, a quanto funziona l’iniziazione alla caccia dei bambini (ovviamente specie i maschi) nei nostri paesi. Notiamo il ruolo fondamentale dei padri, che stanno in quella situazione, e imbevono i figli in una dimensione altra rispetto alla quotidianità che è fatta di un gruppo umano molto connotato (i cacciatori), di strumenti specifici (armi e munizioni), di animali (selvaggina e cani da caccia), di rituali preordinati (l’arrivo, la battuta, la posta, l’obbedienza al presidente della “celebrazione” che è il capocaccia, la durata della caccia), e poi il convivio che sancisce comunione e rimanda ad una specie di missione… l’appuntamento successivo! Tutto questo affascina, coinvolge, e crea la necessità della perpetuità. A differenza dei martiri di Abitene i nostri simpatici parrocchiani e i figli potrebbero dirci: sine venationem non possumus!

L’assenza dei padri, pur comprendendone ragioni contingenti che certo non riguardano l’esempio fatto prima, è ingiustificabile. È il padre che sancisce autorevolezza a ciò che si fa, è il padre che conferma nei ruoli specialmente la progenie maschile, è il padre che ha compiti di sacerdotalità domestica, è il padre che – in modo complementare – come genera alla vita deve generare alla fede. L’esemplarità paterna è insostituibile… nel bene e, purtroppo, nel male. Lavoriamo molto su questo, a partire dalle cose più ovvie e semplici: la partecipazione all’Eucaristia domenicale.

Dirò, se ci sarà il tempo, alcune parole sull’oratorio, sulla centralità della domenica, sulla formazione e sulla necessità del lavoro di catechesi in equipe: presbitero, catechisti, coppia genitoriale.

don Paolo Pala